giovedì 19 aprile 2018

#SPILLI / Stallo, presente o futuro (M. Ferrario)

Quando capiremo che in un sistema parlamentare a regime elettivo proporzionale le minoranze, anche le più consistenti, non 'vincono' e quindi non hanno alcun diritto automatico di governare, smetteremo di credere di essere in un regime elettivo maggioritario, in cui chi 'vince' vince tutto. E cominceremo a esercitare quella paziente e tollerante fatica democratica che è necessaria per impostare e costruire una possibile compagine di governo. 

Questo significa ascoltare, parlare, proporre, discutere, mediare, contrattare, cercare alleanze. E, soprattutto, 'scegliere' alleati. Perché non tutte le forze politiche, e i loro leader, ovviamente, possono essere compatibili con i valori e gli obiettivi che si vogliono affermare e perseguire con l'ipotesi di governo che si cerca di mettere in campo. 

Dunque è perfettamente logico, e anzi doveroso, che alcuni interlocutori siano privilegiati e altri siano esclusi. Possiamo anche chiamare 'veti' i no verso questa o quella forza politica, e qualche volta si tratta di 'pre-giudizi' che bloccano o uccidono, a priori, qualunque possibilità di confronto. Ma possono anche essere 'post-giudizi', cioè valutazioni fondate e argomentate, basate su dati di realtà e non su impressioni personalistiche, che corrispondono a banali prese d'atto: quelle per cui, mettendo insieme tutto e il suo contrario, se si può dare l'immagine apparente di apertura e disponibilità democratica, si creano però le condizioni sicure di un'implosione, o quantomeno di uno stallo, della alleanza/accozzaglia improvvidamente varata con il nome di governo. Senza contare, poi, il ritorno negativo, sugli elettori, delle scelte incoerenti con il profilo di forza politica pubblicamente trasmesso sino a quel momento e in quel momento clamorosamente smentito pur di trovare una (illusoria) soluzione.

Tuttavia non c'è solo il rischio di stallo futuro. C'è anche la realtà di uno stallo presente, in cui sembra che nessuno riesca a dipanare la matassa e dal quale si crede di poter uscire, alla fine, con un 'governo di tutti' in qualche modo propiziato (di fatto più o meno pesantemente 'suggerito') dal Capo dello Stato.

Temo che una simile 'uscita', dopo la rottura epocale, provocata (piaccia o non piaccia) dal voto di netto cambiamento del 4 marzo (oltre il 50% dell'elettorato si è espresso contro l'equilibrio del sistema politico che ha governato negli ultimi anni), sarebbe di difficile 'tenuta' nel medio termine: troppo verticistica e sganciata dai bisogni espressi dal voto.
Un 'governo di tutti', ovviamente nato sotto l'autorevole egida del Presidente della Repubblica,  potrebbe funzionare solo se limitato a pochi obiettivi e temi precisi, da realizzare in tempi brevi. E non potrebbe essere, come è stato detto da alcuni, che una soluzione di 'transizione'.

Giusto che venga esperito ogni tentativo per dar vita a un governo. Ma oltre un certo limite la forzatura, se va in porto, produce scelte soltanto illusorie: un governo impossibilitato a governare. 
Chiamare a nuove elezioni, dopo neppure un anno dalle precedenti, è l'ultima carta da giocare, anche perché sarebbe segnale di una impotenza preoccupante. E a maggior ragione sarebbe preoccupante se prima non venisse fatta una riflessione sul sistema elettorale con cui i cittadini verrebbero richiamati a votare. 
Tuttavia, quando si sono esaurite le carte, l'ultima resta la sola da giocare.

Per l'Italia sarebbe la prima volta di una nuova consultazione lanciata a breve distanza dalla precedente. 
Saremmo in compagnia di altri Paesi (a parte la Turchia, per l'Europa Grecia, Spagna, Croazia, Austria, Islanda), che già hanno sperimentato elezioni ripetute, tra l'altro con risultati non dissimili da quelli appena ottenuti. Ma questo non sarebbe consolante: il mal comune resta tale e non diventa mezzo gaudio solo perché diffuso.
Qualche volta, però, anche prendere atto del male potrebbe essere, in piccola parte almeno, già un bene.

*** Massimo Ferrario, Stallo, presente o futuro, per Mixtura

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