lunedì 24 luglio 2017

#RITAGLI / Lo 'specifico' di Jung (Aldo Carotenuto)

[D: Sappiamo che c'è uno stile, una tecnica specifica di quella che si chiama la psicologia analitica di Jung rispetto alla psicoanalisi di Freud. Ce ne vuole parlare?]

Naturalmente mi viene sempre chiesto: "qual è lo specifico di Jung?". Questa è una domanda legittima; io non dimentico però una frase che Jung dirà a un certo punto nei suoi Ricordi, sogni e riflessioni dove dice che noi dobbiamo sapere tutto, conoscere a perfezione quanto detto da Freud e da altri autori, ma poi dobbiamo anche saper dimenticare tutto. In questo senso io potrei dire che lo specifico di Jung, la tecnica junghiana è quella di non avere nessuna tecnica. Io sono del parere che due analisti, che hanno veramente molta esperienza, siano di per sé inconfondibili, perché l'esperienza stessa porta le persone - in questo caso specifico gli analisti - ad avere lo stesso comportamento.

Ora, ammettiamo che ci sia un analista che nella sua attività porti un riferimento teorico a Jung. Durante l'analisi, egli dovrà prima confrontarsi con una dimensione che da Jung è chiamata "persona". "Persona" è un nome latino, che vuol dire "maschera", cioè quell'atteggiamento esteriore che tutti noi abbiamo e che dobbiamo naturalmente utilizzare rispetto al mondo esterno. Ad esempio è chiaro che io, quando insegno in aula all'università, devo assumere la maschera del professore, mentre in seduta d'esame assumo la maschera dell'esaminatore e via dicendo. Il consiglio di Jung è interessante perché dice: "state attenti, una cosa è il ruolo che voi svolgete, e una cosa è quello che siete veramente; state attenti a non identificarvi con queste immagini". Allora sarebbe curioso se io avessi l'atteggiamento da professore, magari anche un po' noioso, che ho durante le lezioni, nel momento in cui vado dal fruttivendolo per comprare della frutta.

Per lo stesso motivo è tecnicamente molto importante che il paziente si renda conto di quanto si sia identificato con la sua immagine. Successivamente, per Jung, è molto importante - io credo che questo sia fondamentale, non solo nell'analisi junghiana, ma in tutte le analisi che vanno in profondità - che un individuo abbia a che fare con certi aspetti molto nascosti della sua persona. Jung parlerà a questo proposito di "ombra", volendo indicare una dimensione, che è sempre tenuta un po' fuori dagli aspetti evidenti della loro vita, e che noi ci portiamo dietro continuamente; ebbene, quanto più questa dimensione dell'"ombra" è nascosta, tanto più può prendere il sopravvento.

Durante le lezioni io porto sempre degli esempi di carattere letterario. L'esempio più bello ci viene fornito dalla letteratura, da Robert Louis Stevenson, con il famoso lungo racconto Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde, che tutti noi conosciamo. Il dottor Jekyll era un medico molto importante nella Londra del tempo, era molto buono, aveva devoluto, e stava devolvendo, tutte le sue ricchezze per poter aiutare i poveri. Ma contemporaneamente era portatore di una dimensione molto violenta, arrogante, assassina, della quale non era consapevole, nel senso che non aveva una comprensione di quello che gli stava succedendo. L'unica cosa di cui si rendeva conto era che improvvisamente subiva una trasformazione. Inizialmente si trasforma in seguito all'assunzione di una particolare pozione, ma lo stesso evento avviene automaticamente, e noi sappiamo che alla fine del romanzo di Stevenson il dottor Jekyll viene ucciso da mister Hyde.

Ora, in maniera del tutto analoga, potremmo dire che noi siamo portatori di un mister Hyde. Faccio notare che, in inglese, il verbo "to hide" significa "nascondere". Quindi è importante che nell'incontro che io ho con un paziente emerga subito questa immagine, vedere dov'è che noi abbiamo l'"ombra", quali sono i nostri aspetti più problematici, gli aspetti dei quali noi ci vergogniamo, gli aspetti che noi teniamo nascosti. Secondo la mia esperienza, io direi che quanto più questi aspetti sono nascosti, tanto più diventano importanti per noi, perché quella dimensione che noi critichiamo e che valutiamo molto negativamente, può invece essere anche la fonte della nostra forza. Ma noi diventiamo forti solo se smascheriamo questa forza, se noi la guardiamo negli occhi, se ci rendiamo conto della malvagità di cui noi siamo o potremmo essere responsabili, anche se in linea generale noi tendiamo a tenere nascosta questa immagine. E quanto più noi la teniamo nascosta, tanto più questa immagine prende il sopravvento e ci distrugge.

Successivamente, Jung ci parlerà di un altro aspetto molto importante. Noi sappiamo tutti che cosa significa essere uomini ed essere donne, sappiamo tutti che cosa significa entrare in relazione l'uno con l'altro, ma forse non sappiamo che molte immagini che noi andiamo cercando nella vita - come ad esempio il "principe azzurro" o la "fatina" - sono in realtà immagini che ci portiamo dentro e che abbiamo mutuato dalla nostra esperienza infantile, dalla nostra primissima esperienza, quando abbiamo avuto rapporti, per esempio, con nostra madre - adesso parlo in senso maschile. Questa madre viene introiettata, diventa un'immagine interna, che guida la nostra ricerca di un'anima gemella. Anche questo è del tutto inconscio. È interessante, per esempio, vedere alcune situazioni nelle quali si sbaglia sempre, cioè si sceglie sempre la stessa tipologia, anche se apparentemente si cambia. In questo modo, se io non me ne rendo conto, e non opero una certa correzione di questa forza interna, per tutta la vita continuerò a sbagliare.

In questo grande processo di sviluppo, Jung parla di un bilanciamento di tutta la nostra parte cosciente con la parte inconscia, che permetterà all'individuo di raggiungere quella che egli chiama "totalità". Ma ciò non significa che alla fine noi possiamo essere contenti di questo raggiungimento, perché si tratta di un viaggio, direi, di stampo "romantico", per il quale ciò che conta non è la meta - in fondo irraggiungibile - ma il momento stesso del viaggio. Quindi si procede verso un obiettivo che non si raggiunge mai, e che consiste in un bilanciamento abbastanza coerente tra parte conscia e inconscia; ciò consente di dare alla nostra vita un senso di totalità.

*** Aldo CAROTENUTO, 1933-2005, psicoanalista di matrice junghiana, saggista, Il pensiero di Jung, interviste di Enciclopedia Multimediale delle Scienze filosofiche, Rai Educational, 11 luglio 1996.

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