sabato 24 giugno 2017

#RACCONTId'AUTORE / La principessa più forte del mondo (Marina Valcarenghi)

C’era una volta una giovane principessa che non era solo molto bella, ma anche molto forte. Riusciva a salire in groppa a un cavallo in corsa. Nei duelli con la lancia e con la spada nessuno riusciva a disarmarla. Nelle battaglie era sempre in prima fila e se aveva paura non si sa, ma certamente non si vedeva. Si arrampicava sugli alberi ma proprio fino in cima dove non arrivava nessuno e a braccio di ferro nemmeno i pugili riuscivano a resisterle.

I suoi genitori le volevano molto bene ma non erano gran che contenti. Spesso borbottavano:
«Figlia cara, uomo dovevi nascere tu! Chi vorrà prenderti in moglie? Tu fai paura, non tenerezza e i giovanotti hanno paura di lasciarci la pelle in un matrimonio con te!»
«Se hanno paura che se ne stiano a casa dalla loro mammina» rispondeva spavalda la principessa Flavia scuotendo l’onda di capelli scuri che le scendeva sulla fronte. «Come posso sposare un uomo che ha paura di me? Io sposerò solo chi riuscirà a farmi scendere dal mio cavallo e non me ne importa niente che sia un principe o un contadino, un guerriero o un poeta.»

Le sue amiche si sposavano e lei rimaneva sola. Ogni tanto si presentava al castello un cavaliere e sfidava la principessa Flavia e ogni volta ognuno di loro veniva regolarmente disarcionato in un batter d’occhio.
«Flavia» le dicevano le sue amiche, «perché non fai finta, soltanto finta di essere un po’ più debole? Che cosa te ne importa, dopo tutto?»
E la principessa rispondeva: «Mi vergognerei per me e anche per la persona che dovrei imbrogliare.»
«Rimarrai sola» le dicevano le sue amiche, «e la solitudine non è bella.»
«La solitudine... la solitudine...» mormorava la principessa e si perdeva nei suoi pensieri.

Intanto Flavia continuava a vivere per conto suo, a galoppare selvaggiamente sul suo cavallo, a correre a perdifiato per i prati, a nuotare nei torrenti, a tirare l’arco e a starsene ore e ore sotto un albero con lo sguardo perso.

Un giorno si presentò alla corte di Flavia un cavaliere: «Sono il principe di Agadir» dichiarò. «Voglio sfidare e vincere la principessa Flavia per farla mia sposa.»
Anche questa volta furono fatti i preparativi sulla piazza del paese e una gran folla corse quel giorno a vedere la sfida. I due guerrieri, il principe e la principessa, erano uguali, imprigionati nelle loro armature che li coprivano dalla testa ai piedi.
E uguali erano i loro cavalli bianchi.

Al segnale dei trombettieri partirono l’uno contro l’altra. Si sentì un gran rumore di lance e di spade, una fitta polvere si sollevò intorno ai combattenti in un silenzio pieno di attesa. Era una mischia furibonda: i due cavalli nitrivano impazziti, ma alla fine uno dei due cavalieri volò per aria e ricadde a terra come un sacco. Chi era? Il re e la regina, tutta la gente tenevano il fiato sospeso: questa volta era stata una vera battaglia, non come nel passato, quando i cavalieri sfidanti cadevano giù al primo colpo come pere cotte.
Il cavaliere vincente si avvicinò al palco del re, si inchinò leggermente, si tolse l’elmo e il cimiero e una cascata di capelli neri cadde sulla corazza. Ancora una volta Flavia aveva vinto.

Dopo il principe di Agadir fu il turno di un giornalista romano, di un capitano bretone e di un chitarrista cileno. Tutti, armati fino ai denti, finirono a mangiare la polvere abbracciati ai loro cavalli. Ormai a sposare Flavia nessuno ci pensava più. E lei ci pensava meno degli altri, oltre a tutto gli anni erano passati.

Un giorno si presentò a corte un cavaliere: era bello, grande e bruno e il suo cavallo era nero. Non disse chi era né da dove veniva. Il suo viso era pallido e il suo sorriso gentile. Chiese di sfidare la principessa a duello. Anche per lui vennero fatti i preparativi: la piazza era piena di folla e di bandiere, c’era la musica e si vendevano i gelati. Nessuno voleva perdersi lo spettacolo dell’ultimo cavaliere che rotolava per terra come un pupazzo.

I trombettieri suonarono la prima volta e apparvero sulla spianata i due cavalieri. Si sentì un coro di oh oh! di meraviglia. L’uomo era sul suo cavallo nero senza alcuna armatura. Indossava una tunica bianca con un sole e una luna ricamati all’altezza del cuore; nelle mani non stringeva nessuna arma, ma un ramo di fiori di lillà.
«Àrmati cavaliere o ti farà a pezzi!» si sentì gridare dalla folla. «Prendi la spada non fare il matto!». «Attento a te, quella donna è un drago!»

Flavia stava muta al suo posto con la visiera calata. E il cavaliere stava serio sul suo cavallo in attesa. I trombettieri finalmente diedero il via e i cavalli partirono al galoppo. Quando furono uno accanto all’altro, la principessa alzò la spada per tirare un fendente, e allora il cavaliere alzò la mano senza toccarla fissando con un sorriso la fessura dell’elmo che nascondeva gli occhi di Flavia. La spada le cadde di mano e il cavaliere circondò il collo della principessa con il ramo di lillà.

Allora Flavia scese da cavallo, si liberò del cimiero, dell’elmo, della corazza, dei gambali e rimase con il suo solito vestito bianco.
Anche il cavaliere allora scese da cavallo; i due si presero per mano e si diressero verso il palco dove il re e la regina li aspettavano a bocca aperta.

«Ecco» disse Flavia: «l’uomo che non ha paura di me e non ha bisogno di farmi paura; io non so chi sia; ma lui sarà il mio sposo.»

*** Marina VALCARENGHI, 1960, psicoanalista di matrice junghiana, saggista e scrittrice, Il buio è un cavaliere, Tranchida, Milano, 1999


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