lunedì 26 settembre 2016

#LIBRI PIACIUTI / "Un pappagallo volò sull'IJssel", di Kader Abdolah (recensione di M. Ferrario)

Kader ABDOLAH, "Un pappagallo volò sull'IJssel"
traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo
2014, Iperborea, 2016
pagine 418, € 19.50, ebook €9,99

C'era una volta l'integrazione
Olanda, anni 80. Un fiume, l'IJssel. Quattro paesini sulle sue rive. Un gruppo di rifugiati dal Medioriente, di cultura islamica. L'accoglienza aperta e solidale degli abitanti, di religione protestante, e l'integrazione sostanzialmente serena dei nuovi venuti nella vita tranquilla e abitudinaria del piccolo mondo contadino.
Con gli occhi di oggi, sembra irrealtà. Invece c'è stato un tempo in cui è stato possibile. Almeno finché i processi di immigrazione erano rivoli controllabili. Poi, anche in Olanda, l'omicidio di Theo van Gogh e i contraccolpi dell'attacco alle Torri Gemelle hanno messo tutto in discussione: sono esplosi reciproci radicalismi e pure sulle calme rive dell'IJssel i sentimenti di convivenza che avevano consentito un tranquillo equilibrio di tolleranza sono stati feriti. 

Impossibile citare la folla di personaggi che compongono le vicende di questo romanzo: si tratta di un intreccio di storie minute, seguite con meticolosità e passione, ma soprattutto con uno sguardo poetico, dolce e compassionevole, capace di dare un colore a tratti epico all'intero affresco.
Forse una delle figure più vivide è quella di Memed, mosso alla fuga dall'Iran inseguendo la speranza di salvare la figlia piccola, con una difficile operazione chirurgica possibile solo in Occidente, da una malattia congenita: intreccerà una relazione problematica con una olandese e lo perseguiterà il sogno di restaurare auto d'epoca grazie alla sua abilità di meccanico provetto maturata nella sua officina a Tehran.
Poi, solo per cogliere i personaggi principali, si può ricordare Lina, l'interprete che riuscirà a entrare in Parlamento dedicandosi alla difesa degli immigrati. E Kahlid, discendente di miniatori del Corano, diventato restauratore museale e apprezzato artista nel mondo gay. Quindi, Pari, giovane ribelle, sposata, che pagherà cara la sua ricerca di indipendenza. Infine i 'dodici anziani', depositari delle tradizioni, e il pappagallo che convive da sempre con una famosa guaritrice olandese: segue le vicende umane e, illuminato da un'aura fiabesca, insieme al fiume, sempre onnipresente, fa da mediatore tra le culture e porta parole e pensieri in giro tra gli abitanti del paese.

L'atteggiamento dello scrittore, misurato ma partecipe, e la tinta lirica con cui è pennellato il piccolo mondo descritto sono la cifra del libro, insieme con una narrazione 'dal punto di vista degli immigrati' che non è mai faziosa. Approccio e stile sono ovviamente facilitati dalla biografia dell'autore: Kader Abdolah è infatti rifugiato iraniano in Olanda dal 1988 ed è oggi uno degli autori più apprezzati, e premiati, di lingua olandese.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

https://it.wikipedia.org/wiki/Kader_Abdolah
«
Il silenzio del paese gli metteva già ansia. Era finito in quella casa per sua figlia e adesso doveva andare avanti da solo. Come faceva a riannodare il filo della sua vita? 
Da dove poteva cominciare? Non c’era niente in quel paese, nient’altro che quella chiesa e quella campana.
L’enorme campana aveva turbato non poco il suo sonno, aveva dormito tutta la notte con la testa sotto la coperta. 
E da lì l’aveva osservata attraverso la finestra. Era un tecnico, uno che saldava, segava, trapanava, montava lastre di ferro: si intendeva di ingranaggi, conosceva la forza del ferro e quella dell’umidità. Era una campana pesante, con ogni probabilità il batacchio era arrugginito e se durante un forte temporale si fosse staccata sarebbe caduta con tutto il suo peso sul tetto della casa. 
Sapeva, in realtà, che era altamente improbabile, ma aveva paura. Una paura generata da tutto quello che aveva passato nei mesi trascorsi in Pakistan prima di arrivare lì. 
Ma nel profondo del suo cuore era felice. Per la prima volta non doveva portare da solo il peso della responsabilità di sua figlia. Tutt’a un tratto un intero paese gliel’aveva tolto dalle spalle. 
Si sarebbe abituato alla campana, forse quei rintocchi sarebbero diventati perfino una parte importante della sua vita. Come l’incessante suono dei clacson delle migliaia di auto che passavano davanti al suo garage a Teheran. 
Per ora doveva avere pazienza. 
Aspettare e vedere cosa gli portava il domani. (Kader Abdolah, "Un pappagallo volò sull'IJssel", 2014, Iperborea, 2016)

Non era chiaro come avessero scoperto che quella era l’unica cabina del circondario che aveva ancora un apparecchio del vecchio tipo con cui si poteva telefonare illegalmente. 
Di solito chiamavano con monete false, o monete in cui avevano praticato un forellino in cui infilare una cordicella. Ma a quanto pareva qualcuno aveva manomesso il telefono in modo da poter chiamare gratis. 
Gli stranieri attraversavano ogni notte l’IJsselbrug, costeggiavano il fiume e si intrufolavano in paese senza far rumore. Entravano solennemente nella cabina e facevano brevi telefonate per comunicare le notizie più urgenti: «Sono arrivato. State tranquilli. Io sto bene. Voi anche?» 
Poi tornavano per la stessa strada senza parlare tra loro. 
Arrivavano da ogni angolo della terra. E dalla cabina telefonica di Zalk spedivano le loro parole forestiere nel mondo. 
La mattina erano svaniti, come svanisce al mattino la nebbia che di notte cala sul fiume. (Kader Abdolah, "Un pappagallo volò sull'IJssel", 2014, Iperborea, 2016)

Pari era coricata, i capelli pettinati stesi nel letto, non l’avevano mai vista così, senza velo. Pensavano di trovarla magra e imbruttita per via della lunga degenza, invece apparve loro ancora più bella. Attorno a lei aleggiava una pace celestiale. Solo il ticchettio delle macchine rompeva il silenzio. 
Fu l’iracheno Elmottaghi a prendere l’iniziativa, intonando sottovoce un testo arabo. Gli altri undici si unirono al suo canto, ognuno nella propria lingua. E continuarono a salmodiare invocazioni, come se la salvezza di Pari dipendesse dal loro coro armonioso. Entrando dalla finestra il sole pomeridiano rischiarava la stanza. 
Le loro parole dolci danzavano come api dorate nei raggi del sole e il mormorio delle preghiere avvolse il capo di Pari come un ronzio. Gli anziani sapevano che non dovevano fermarsi e proseguirono la loro litania. 
Un’infermiera che passava in corridoio pensò a un nugolo di insetti, chiamò due colleghe, aprirono insieme la porta ed entrarono nella stanza. Alla vista di tutti quegli uomini si spaventarono, ma quando capirono che erano rispettosamente intenti a pregare rimasero dov’erano. Pensarono che Pari fosse morta e che quegli stranieri le stessero tributando l’estremo saluto. Rimasero ad ascoltare la dolce melodia che usciva dalle loro labbra, osservando il monitor che ancora non indicava l’avvenuto trapasso. 
All’improvviso l’ago si mosse, tracciando con un rumore metallico una linea ondulata, uno zigzag di vita. Stupefatte, le infermiere guardarono Pari. E con loro grande sorpresa la videro aprire gli occhi e ascoltare. (Kader Abdolah, "Un pappagallo volò sull'IJssel", 2014, Iperborea, 2016)
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