giovedì 18 agosto 2016

#SGUARDI POIETICI / Il confine (Ana Blandiana)

Cerco il principio del male
come da bambina cercavo i margini della pioggia.
Con tutte le forze correvo per trovare
il luogo dove
sedermi a terra a contemplare
da una parte pioggia, da una parte niente pioggia.
Ma sempre la pioggia smetteva prima
che ne scoprissi i confini
e ricominciava prima
di capire fin dove è sereno.
Invano sono cresciuta.
Con tutte le forze
corro ancora per trovare il luogo
dove sedermi a terra e contemplare
la linea che separa il male dal bene.
Ma sempre il male smette prima
che ne scopra il confine
e ricomincia prima
di capire fin dove è bene.
Io cerco il principio del male
su questa terra
volta per volta
grigia e assolata.

*** Ana BLANDIANA, 1942, poetessa romena, Il confine, traduzione di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni, in ‘Via delle belle donne’, 28 febbraio 2008, qui
 Anche in 'losguardopoIetico', n. 417, 14 agosto 2014

2 commenti:

  1. Dice della sua poesia la poetessa: “…ho sempre sognato un testo a più livelli, ciascuno perfettamente intelligibile, livelli autonomi e diversi, simili a quelle pareti di un monastero medioevale dipinte con scene di paesaggio in cui da determinate angolazioni si scoprono figure di santi. Poiché in poesia è importante non qualcosa che non abbiamo mai udito, quanto piuttosto qualcosa che conoscevamo da un’altra vita. La poesia non deve fornire la sensazione del conoscere, bensì quella del riconoscere…..la poesia ci apparenta col silenzio, l’essenza di moto e l’ombra, piuttosto che con lo sfavillio e il frastuono, .. perchè gli dei operano una scelta per inviare sulla terra creature spesso imbelli. Ora sono giunta a tenermi al riparo dalla protervia di capire tutto, perdendo così definitivamente ciò che non può essere capito tramite l’intelletto.…io sogno una poesia semplice, limpida e così trasparente che potrebbe insinuarsi il sospetto che nemmeno esista”…

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  2. Ringrazio Maria Grazia Ferraris per aver riportato il pensiero di Ana Blandiana su come lei intende la poesia.
    Bellissima la metafora del monastero medioevale, ma mi va di sottolineare particolarmente le ultime righe: «...io sogno una poesia semplice, limpida e così trasparente che potrebbe insinuarsi il sospetto che nemmeno esista...».
    Forse, se questo suo 'sogno' diventasse condiviso, la poesia avrebbe più lettori di quanti oggi (non) ne ha. E, soprattutto, sarebbe ciò che a mio avviso dovrebbe essere davvero: e troppo spesso non è. Perché preferisce nascondersi dietro un linguaggio criptico e astruso, beandosi di una autoreferenzialità narcisistica che produce solo allontanamento. Senza regalare alcuna emozione.

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