domenica 31 luglio 2016

#LIBRI PIACIUTI / Una traccia nel buio, di Arnaldur Indriðason (recensione di M. Ferrario)

Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio"
2013, Guanda, 2015
traduzione di Alessandro Storti
pagine 315, € 11,00, ebook € 9,99

Ennesima conferma di un 'giallista' di razza
Lo scrittore islandese Arnaldur Indriðason, per chi ama il giallo scandinavo, è una lettura imprescindibile: per le trame complesse, ma mai ingarbugliate; per l'atmosfera grigia, spesso cupa, ma mai opprimente e che dà un tono come velato ai racconti; per i personaggi, anche minori, sempre attentamente curati; per le descrizioni meticolose di un ambiente naturale freddo e desolato, tanto lontano da quello nostro abituale; e (forse, soprattutto) per lo stile pacato, che procede con passo lento, mettendo insieme i fatti senza fretta e poi raccogliendo i fili con calma e chiarezza, fino alla soluzione finale. 

In genere, al centro dei romanzi di questo autore è la figura del detective Erlendur Sveinsson, ma questa storia (Una traccia nel buio) fa eccezione.
Al suo posto, infatti, entra in scena un vecchio poliziotto, Konráð, ormai in pensione, che dà una mano a una collega su un caso misterioso, in cui ha ragione di sentirsi in qualche modo implicato: un anziano dalla vita solitaria, senza amici né parenti, viene trovato morto nel suo appartamento, soffocato nel letto da qualcuno cui forse aveva aperto la porta.

L'indagine è difficoltosa e mescola passato e presente.
E' l'occasione per riandare all'Islanda del 44, occupata da inglesi e americani, e anche alla infanzia del poliziotto pensionato, cresciuto senza madre e con un padre imbroglione, divorziato da una moglie che malmenava, alla quale aveva 'scaricato' la cura della figlia, ma alla quale aveva sottratto il maschio, non tanto per affetto, ma come per vendetta. A quegli anni risalgono l'omicidio di una bella ragazza, trovata uccisa in una nicchia del Teatro Nazionale di Reykjavík, a quell'epoca trasformato in magazzino per le truppe di occupazione, e la strana scomparsa di un'altra giovane nel Nord Islanda: sono morti 'lontane', ma che sembrano avere un nesso e forse, a distanza di oltre sessant'anni, hanno pure qualcosa a che fare con l'uccisione dell'anziano nel suo letto.

La vicenda procede sui due piani temporali, mettendo in campo anche due agenti investigativi, uno della nascente polizia islandese e un canadese che opera per conto dell'esercito statunitense.
Il mosaico si compone lentamente, producendo un'attesa che coinvolge, ma spinge a girare le pagine senza frenesia, facendo apprezzare al lettore le tessere che man mano vengono aggiunte al quadro generale.
La tensione è mantenuta accesa dal cambio frequente di scenario ieri-oggi e dalla complessità dei fatti, all'inizio apparentemente scombinati: la bravura di Indriðason sta nel riuscire a dipanare una matassa, di per sé facile ad aggrovigliarsi, con un linguaggio lineare e semplice, che fa crescere la storia con una logica paziente che ti dà la sensazione di partecipare alla costruzione, e allo scioglimento, del puzzle.
Insomma, l'ennesima conferma di un 'giallista' di razza: uno dei migliori rappresentanti del genere poliziesco scandinavo.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
La cucina era piccola ma ordinata, con un tavolo e due sedie. Sul bancone, una macchinetta del caffè con la caraffa mezza piena. Era spenta. Dentro l’acquaio c’erano alcuni piatti e due tazze. In fondo, vicino al piccolo frigorifero, c’era un fornello a tre piastre. In salotto videro un divano con un paio di poltrone in stile, un tavolo e una scrivania accanto alla finestra rivolta a sud. Scaffali con qualche libro, ma pochi soprammobili. Anche qui regnava lo stesso ordine della cucina. Tutti i pavimenti, tranne quelli del bagno e della cucina, erano ricoperti di moquette consunta lungo i percorsi più calpestati, che andavano dal salotto alla cucina, dal bagno al salotto, dalla camera da letto alla cucina e al salotto. In alcuni punti era talmente lisa che s’intravedeva il bianco della trama. I due agenti aprirono la porta della camera. E lì, sdraiato su un letto singolo, c’era un uomo con le braccia stese lungo i fianchi e gli occhi semichiusi. Era in camicia, pantaloni e calze, e aveva tutta l’aria di essersi coricato per fare un riposino nel bel mezzo delle faccende quotidiane, senza più rialzarsi. Visto così, non si sarebbe affatto detto che avesse novant’anni. Il poliziotto più vecchio si avvicinò per tastargli la gola e il polso. Il primo pensiero che gli attraversò la mente fu: «Difficile immaginare un modo più elegante di andarsene». (Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio", 2013, Guanda, 2015)


La ragazza era stata uccisa l’anno in cui Konráð era nato, e una circostanza molto particolare legava quel fatto a suo padre, che in quel periodo si interessava di esoterismo ed era in contatto con spiritisti di fama non proprio specchiata. Un giorno i genitori della ragazza avevano interpellato uno di quei medium, chiedendogli una seduta spiritica per parlare con la figlia morta. Il padre di Konráð era stato presente in qualità di assistente del sensitivo. E durante quella seduta erano accadute cose delle quali avevano parlato perfino i giornali. (Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio", 2013, Guanda, 2015)


«Volevo chiederti se ti serve una mano, con il caso del vecchietto» disse Konráð, non appena Marta riuscì a staccarsi per un istante dal telefono. 
La stanza era un caos di documenti, raccoglitori, giornali e ritagli di ogni genere, che Marta aveva accumulato con il passare del tempo. Tanto, quell’ufficetto era tutto suo, non ci entrava nessun altro. Fra le varie cose c’era una magnifica sciabola militare danese della fine dell’Ottocento. Marta l’aveva trovata in un negozio di antichità e la teneva appoggiata sopra una montagna di fogli sul davanzale della finestra. Konráð non le aveva mai chiesto per quale motivo l’avesse acquistata, ma gli pareva di ricordare che il nonno di lei fosse stato un comandante della guardia costiera. 
«Eh?» disse Marta.
«Non siete sempre a corto di uomini?» 
«Ma non eri in pensione?» 
«Certo, e non ho nessuna intenzione di rientrare in servizio, stai tranquilla. Volevo solo aiutarti con l’indagine sul vecchietto, se ti va.» 
«Perché?» 
«Mi annoio» rispose Konráð. «Non occorre nemmeno che tu avvisi qualcun altro, mi limiterei ad affiancarti. Se scopro qualcosa d’interessante, ti avverto all’istante.» 
«Senti, Konráð, io… tu sei in pensione! Non sarebbe meglio lasciar perdere? Non puoi lavorare in nero per me. È fuori discussione. Che idee ti vengono?» 
«Ovviamente la decisione spetta a te» disse Konráð. 
«Vorrei ben vedere.» 
«Ah, bene.» 
«Be’, ci sentiamo.» Marta prese il cellulare. 
«È solo che…» 
«Sì?» 
«Io sono cresciuto in quel quartiere, a Skuggahverfi» disse Konráð. «Quando abitavo là, ho sentito parlare di quella ragazza di cui mi raccontavi, e così…» 
«Ti sei incuriosito?» 
«Vorrei sapere come mai quel tizio teneva da parte gli articoli su di lei. Credo che sia un caso irrisolto.» «Konráð…» 
«Mi faresti un gran favore, Marta. Mi serve solo un modo per entrare in casa di quell’uomo. A tutto il resto posso pensare io. Non vorrai impedirmi di cercare informazioni su un delitto avvenuto sessantacinque anni fa? E poi la Scientifica ha già setacciato la casa del vecchietto. Non altererò la scena del crimine.» 
Dopo un lungo silenzio, Marta disse: «Siamo sempre a corto di personale. Ma davvero hai intenzione d’imbarcarti in un’indagine così vecchia?» 
«Sì.» 
«Allora devi farmi una promessa.» 
«Cioè?» 
«Se emerge qualcosa, avvisami subito. Appena lo scopri.» (Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio", 2013, Guanda, 2015)
»

Arnaldur Indriðason:
https://it.wikipedia.org/wiki/Arnaldur_Indri%C3%B0ason

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