lunedì 8 febbraio 2016

#LIBRI PREZIOSI / "La legge del contrario", di Oliver Burkeman (recensione di M. Ferrario)

Oliver BURKEMAN, La legge del contrario.
Stare bene con se stessi senza preoccuparsi della felicità
2012, Mondadori, 2015
Traduzione di Michele Piumini
pagine 131, € 19,00, ebook € 9,99

Contro il 'pensiero positivo': finalmente
Anche negli Usa, finalmente, la patria del 'pensiero positivo', si comincia a mettere in discussione questo mini e mono approccio alla realtà spacciato per pensiero. Se ne critica sia la sua versione più nobile e accademica, che, soprattutto, la declinazione becera e sgangherata che ne hanno dato i vari 'speaker' più o meno motivazionali e i troppi 'coach' più o meno improvvisati.

Come sappiamo, pure in Italia, da anni, siamo prede di questo virus suadente e perverso. Basta navigare in rete, fermarsi in qualche network professionale, dare un'occhiata ai titoli dei corsi proposti o dei libri che invadono il settore 'psico' e 'fai-da-te' delle librerie, virtuali e non, leggere le promesse via web dei tanti 'life coach' nati come funghi: è tutto un tentativo di dolce seduzione. La competizione è sul numero delle 'mosse' che vengono garantite come risolutive: vince chi ne promette meno, ma la felicità è comunque assicurata. Basta crederci, volere è potere.

Oliver Burkeman, l'autore inglese di questo testo, merita un applauso: è un giornalista serio, curioso, che ama dubitare e problematizzare e non si accontenta delle affermazioni-slogan alla moda. Anzi, queste sono per lui uno stimolo per risalire contro corrente e svelare, in questo caso, con chiarezza e stile accattivante, il limite e l'inconsistenza dei luoghi comuni che puntano sul bicchiere sempre pieno e ti colpevolizzano se lo vedi pieno per quello che è. Così, su questo tema dell'ottimismo prescritto, e sempre un po' beotamente onnipotente, Burkeman si è messo in viaggio, sia metaforico che fisico, e ha recuperato pensieri 'vecchi' della filosofia classica e pensieri recenti di psicologi, consulenti, maestri spirituali, perfino esperti di terrorismo, ascoltati in colloqui faccia a faccia ricchi di spunti.

Ne è nato un saggio prezioso, insieme serio e divulgativo: che sa unire leggerezza a profondità e non prescrive tecniche o comandamenti, ma induce riflessione, proponendo stimoli controintuitivi capaci di ribaltare le visioni consolidate che debbono sempre essere color rosa zucchero, scoprendone l'infondatezza.

Lo stile piano, ironico, qua e là aneddotico come ormai usa nella saggistica popolare di buon livello, è il carburante che ci fa correre le pagine: i punti da chiosare, per non dimenticare o riprendere in un secondo tempo e approfondire, non si contano, ed è così che godimento e apprendimento diventano sinonimi. Sempre se si sa governare, almeno un po', quella sana incertezza, o 'capacità negativa', che vaccina dai catechismi rassicuratori. I quali sono in grado di illudere facendo semplice la complessità, e magari manualizzandola, ma appunto perciò sono inadatti a parlare della vita. E, soprattutto, ad aiutarci a 'vivere'.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura 

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La via negativa alla felicità non ci chiede di fare i bastian contrari a tutti i costi – mettersi sulla traiettoria di un autobus invece di evitarlo non è affatto una buona idea – né implica necessariamente che ci sia qualcosa di male nell’ottimismo: è più utile vederla come contrappeso ormai indispensabile a una cultura ossessivamente convinta che la positività e l’ottimismo siano gli unici strumenti possibili per raggiungere la felicità. Certo, molti di noi nutrono già un sano scetticismo nei confronti del pensiero positivo, ma vale la pena di osservare che anche chi disdegna il «culto dell’ottimismo», per dirla con il filosofo Peter Vernezze,13 spesso finisce per avallarlo indirettamente. Siccome non possono o non vogliono sottoscriverne l’ideologia, l’unica alternativa è rassegnarsi alla tristezza o a una sorta di ironica stizzosità. 
La via negativa ci propone invece di rifiutare questa dicotomia cercando la felicità che nasce dalla negatività, non di provare a soffocare quest’ultima in un implacabile buonumore. Se l’ossessione della positività è il veleno, questo approccio è l’antidoto. La «via negativa», va detto, non è una filosofia unica, esauriente e preconfezionata; l’antidoto non è una panacea. Uno dei problemi del pensiero positivo, e di varie strategie analoghe, è proprio l’ambizione di ridurre grandi interrogativi a ricette di self-help «a taglia unica» o piani d’azione in dieci punti. Viceversa, la via negativa non offre soluzioni univoche. Alcuni suoi fautori invitano ad accettare sensazioni e pensieri negativi, altri invece a ignorarli. Alcuni propongono tecniche decisamente inconsuete per cercare la felicità, altri puntano a una sua definizione alternativa, quando non a smettere di inseguirla. Lo stesso termine «negativa» ha qui una duplice valenza: da un lato può alludere a esperienze ed emozioni non positive, ma dall’altro certe filosofie della felicità sono «negative» nel senso che vogliono insegnarci a «non fare», a non rincorrere la positività sempre e comunque. I paradossi che ne discendono sono numerosi, e più andiamo a fondo più si acuiscono. Per esempio, è possibile definire «negativa» una sensazione o una situazione che a lungo andare ci porterà a essere felici? Se la «positività» non ci rende felici, è giusto chiamarla «positività»? La felicità rimane tale se la ridefiniamo in modo da non escludere una componente negativa? E così via. Non esistono risposte definitive a simili quesiti, perché i fautori della via negativa condividono soltanto una prospettiva generale, non un rigido sistema di credenze, ma anche perché un aspetto fondamentale del loro approccio è proprio la consapevolezza della natura irrimediabilmente paradossale della felicità: per quanto ci proviamo, far quadrare il cerchio è impossibile. (Oliver Burkman, La legge del contrario, Mondadori, 2015)

Alla base di parecchi degli approcci più noti alla felicità c’è una filosofia semplice: concentrati sul felice esito delle situazioni. Nel mondo del self-help, l’espressione più esplicita di questa impostazione è una tecnica nota come «visualizzazione positiva», ossia, se immagini che le cose andranno per il verso giusto, è molto più probabile che lo faranno. La «legge d’attrazione», un concetto New Age molto alla moda, fa un passo in più e arriva a suggerire che la visualizzazione potrebbe essere l’unica cosa di cui abbiamo bisogno per ottenere ricchezza, amore e salute. «Esiste nella natura umana una profonda tendenza a diventare esattamente ciò che immaginiamo di essere» spiegò Norman Vincent Peale, l’autore di Come acquistare fiducia e avere successo, in un discorso ai dirigenti della banca d’investimento Merrill Lynch a metà degli anni Ottanta. «Se vi vedete tesi, nervosi e frustrati […] è proprio ciò che diventerete. Se vi considerate in qualsiasi modo inferiori e serbate questa immagine nella coscienza mentale, in poco tempo, in virtù del processo di osmosi intellettuale, essa penetrerà nell’inconscio e voi sarete ciò che immaginate di essere. Se invece vi ritenete persone organizzate, misurate e meticolose, dei pensatori e dei lavoratori che credono nel proprio talento, nelle proprie capacità e in se stessi, è esattamente ciò che diventerete.» La Merrill Lynch soccombette al tracollo finanziario del 2008 e dovette essere salvata dalla Bank of America: ai lettori le conclusioni. (Oliver Burkman, La legge del contrario, Mondadori, 2015)
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