sabato 26 dicembre 2015

#LIBRI PIACIUTI / "Lila", di Marilynne Robinson (recensione di M. Ferrario)

Marylinne ROBINSON, "Lila", Einaudi, 2015
traduzione di Eva Kampmann
pagine 273, € 20,00, ebook € 9,99

Come un romanzo americano del 900
Si respira l'aria dei grandi romanzi americani del 900 in Lila. 
Marilynnne Robinson, l'autrice, è scrittrice affermata e pluripremiata e anche in questo ultimo libro dimostra la sua abilità non comune nel costruire una narrazione intensa, ampia e meticolosamente curata, ambientata nel Midwest: nella cittadina inventata di Gilead, che ha dato il nome al primo volume della sua trilogia (il secondo è Casa).

Lila, la protagonista, è seguita con sguardo scrupoloso, insieme 'esterno' e quanto mai partecipe, da quando viene rapita da Doll, una donna selvaggia e probabilmente assassina, che la strappa ad una famiglia in cui cresceva senza amore. 
Con Doll Lila impara a fuggire e a vagabondare: errano per i campi da sole o in compagnia di altri che come loro cercano di sopravvivere alla Grande Depressione, offrendosi per qualunque lavoro di fatica nelle fattorie incontrate. 
Doll è tutto per Lila e Lila non l'abbandonerà mai, anche quando il loro rapporto fisico si interromperà: perché il suo ricordo riemergerà, quasi come un'ossessione, in ogni occasione, anche dopo che Lila, nel suo peregrinare randagio, ormai sempre più sola e incattivita, incontrerà il pastore di Gilead e ne diventerà la moglie, convinta benché mai completamente arresa al suo nuovo ruolo.

La storia è semplice, ma ogni sintesi che se ne può trarre commette un peccato irreparabile, perché annienta colpevolmente il grande affresco di piccoli fatti e, soprattutto, di emozioni e sentimenti che l'autrice ci restituisce davvero con maestria. 
Bisogna avere la pazienza di indugiare tra le sue pagine, che procedono lente, mescolando i piani del tempo (l'oggi con lo ieri): si impara che la divagazione è un'arte del narrare e che anche la prosa può essere poesia. Una poesia che sa mostrarsi dolce, senza mai cadere nel melenso, e dura e perturbante, come sempre accade quando l'ispirazione è alla realtà dei poveri e dei derelitti o alla natura, ancora incontaminata e talvolta inospitale, ma resa nel suo modo di essere più semplice e sobrio.

Difficile trovare cadute di tensione e coinvolgimento, ma la relazione di Lila con il vecchio reverendo Ames è godimento puro: per il contrasto delle due figure (lui tenero e premuroso, come fosse piombato dentro una seconda giovinezza, e lei sempre combattuta e selvatica nelle sue risposte, ma in fondo attratta dallo sperimentare questa vita per lei del tutto nuova) e per la descrizione conseguente del legame che si costruisce. Un legame che cresce nel tempo, lento e mai rilassato, tra le contraddizioni di impulsi e sensazioni di Lila e la serena calda e affettuosa disponibilità totale del vecchio.
E che pacifica e tormenta, nei suoi alti e bassi, anche chi legge.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura
https://it.wikipedia.org/wiki/Marilynne_Robinson

«
Lila non raccontava mai a nessuno di quei tempi. Sapeva che sarebbe sembrata una storia tristissima, ma non lo era, in effetti. Doll l’aveva presa in braccio e avvolta nel suo scialle. – Adesso sta’ zitta, – le disse. – Non svegliare gli altri –. Si sistemò la bambina sull’anca ed entrò nella casa buia, con passi piú prudenti e silenziosi possibile, trovò il fagotto che teneva nell’angolo e poi tornò fuori, nel buio gelido in fondo ai gradini. La casa puzzava di sonno, e la notte era ventosa, piena dei rumori degli alberi. La luna era sparita e scendeva la pioggia, fine fine, appena un pizzicore sulla pelle. La bambina aveva quattro, cinque anni, e due gambe lunghe, tanto che Doll non riusciva a tenerla coperta, ma con la grossa mano ruvida le sfregava i polpacci e le toglieva l’umidità dalle guance e dai capelli. Bisbigliò: – Non lo so proprio cosa mi passa per la testa. Mica ci sono stata a pensare. O magari sí. Non lo so. Mi sa che forse sí. Ma se c’è una cosa sicura è che una notte peggiore non c’era –. Si tirò su il grembiule per coprire le gambe della bambina e la portò oltre lo spiazzo. Forse la porta si aprí, e forse una donna le gridò dietro: «Dove te ne vai con la bambina?» e poi, poco dopo, la richiuse, come se i suoi obblighi finissero lí. – Be’, – sussurrò Doll, – toccherà stare a vedere. (Marylinne Robinson, Lila, Einaudi, 2015)

Vedendola sulla porta fece un’espressione allo stesso tempo sorpresa e non sorpresa, come se non avesse avuto motivo di aspettarsi la sua visita, e invece eccola là. Era in maniche di camicia e pantofole, sembrava piú vecchio che sul pulpito, e lei pensò di essere venuta troppo presto. Ma che importava? 
Le disse: – Salve. Buongiorno –. Si interruppe, come se aspettasse una spiegazione. Poi aggiunse: – Avanti, prego –. Appena entrata, lui si scusò perché la casa era molto spoglia. – Non sono bravo a tenere bene le cose. Immagino che si veda. Però… – e indicò il divano ingombro di carte e di libri. – Lasci che le faccia un po’ di spazio. Non mi capita spesso di avere compagnia. Probabilmente avrà notato anche questo –. Allora lei non sapeva che la sua presenza in casa lo imbarazzava, trovarsi a tu per tu con una donna, una sconosciuta. Ma non voleva che andasse via, ne era sicura. – Vuole un bicchiere d’acqua? Posso prepararle il caffè, se ha qualche minuto. 
Aveva tutto il giorno, una settimana, un mese. Gli disse: – Non ho un posto dove stare. 
Lui le sorrise, oppure sorrise tra sé, come se avesse capito che per sciogliere il mistero della sua presenza sarebbe bastato qualche dollaro. Le disse: – Preparo il caffè, allora. 
Lei si alzò. – Non so nemmeno perché sono venuta qui –. Aveva riconosciuto quel sorriso. Ne aveva odiata di gente per quel sorriso. 
– Be’… Potremmo parlare un po’. A volte aiuta. Sì, insomma, aiuta a fare chiarezza… 
– Non mi piace molto parlare. 
Lui rise. – Bene, d’accordo, allora. È così per molti altri da queste parti. Però prendono volentieri il caffè. 
– Non so perché sono venuta qui. È la verità. 
Lui si strinse nelle spalle. – Ma visto che è qui, forse potrebbe raccontarmi qualcosa di sé? 
Lei scosse il capo. – Di questo non parlo. È solo che ultimamente mi sono chiesta perché le cose succedono come succedono. 
– Ah! – esclamò lui. – In questo caso mi fa piacere che non abbia fretta. Io me lo chiedo piú o meno da quando sono nato –. La guidò in cucina facendola accomodare al tavolo, e quando il caffè fu pronto rimasero seduti là per un po’, quasi senza scambiarsi una parola. (Marylinne Robinson, Lila, Einaudi, 2015)
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