giovedì 22 ottobre 2015

#MOSQUITO / Cortigiani, poveretti (Paul Heinrich Dietrich d'Holbach)

Il perfetto cortigiano è senza dubbio il più stupefacente degli uomini. Che smettano di parlarci dell’abnegazione dei devoti per Dio: l’unica vera abnegazione è quella del cortigiano per il suo signore; guardate come si annulla al suo cospetto! Diventa una macchina o, meglio, si riduce a niente; attende di ricevere da lui una definizione, cerca di scorgere in lui i tratti da assumere; egli è come cera fusa pronta a prendere qualsiasi forma le si voglia attribuire. 
Alcuni mortali hanno l’animo tutto d’un pezzo, la schiena poco flessibile, la nuca rigida; questa sfortunata costituzione impedisce loro di perfezionarsi nell’arte di strisciare e di avanzare verso la corte. I serpenti e tutti i rettili scalano i massi e le montagne, mentre i cavalli più focosi non sono in grado di inerpicarsi. La corte non è fatta per i personaggi alteri, inflessibili, che non sanno prestarsi ai capricci o cedere alle fantasie, né tanto meno, quando occorre, avallare o favo-rire i reati che il potere reputa necessari al bene dello Stato.
Un buon cortigiano non deve mai avere un’opinione propria, ma sempre quella del suo padrone o del suo ministro, e deve avere la sagacia per intuirlo; il che presuppone un’esperienza consumata e una conoscenza approfondita dell’animo umano. Un buon cortigiano non deve mai avere ragione, non gli è concesso essere più brillante del suo signore o benefattore: deve sapere che il sovrano o chi ne fa le veci non sbagliano mai.
Un cortigiano ben educato deve avere lo stomaco abbastanza forte da digerire tutti gli affronti del suo padrone. Fin dalla più tenera età dovrà imparare a controllare le espressioni del suo volto perché non tradiscano i moti segreti del suo animo ne il minimo eccesso di collera provocato per esempio da un’angheria. Per vivere a corte bisogna avere il totale controllo sui muscoli facciali al fine di subire senza batter ciglio le più impietose mortificazioni. Nulla che possa riuscire a un permaloso, a un intemperante o a un suscettibile. (...) 
Abilità essenziale del cortigiano e oggetto primario del suo studio dovrà essere la conoscenza approfondita di tutti i vizi e le passioni del suo padrone, in modo da coglierne i punti deboli - solo così sarà certo di possedere la chiave del suo cuore. Il padrone ama le donne? Ebbene, occorrerà procurargliene. E’ devoto? Bisognerà seguire il suo esempio oppure fingere. E’ malfidato? Occorrerà inoculargli il sospetto verso tutti coloro che lo circondano. E’ pigro? Mai parlargli di affari. In una parola, bisogna servir-lo assecondando la sua natura e soprattutto lusingarlo a ogni piè sospinto. Se è uno stolto, non si rischierà nulla a propinargli lusinghe che è lungi dal meritare; se al contrario mostra di avere lume o buon senso, eventualità molto rara, bisognerà usare qualche accorgimento. 
Il cortigiano deve imparare a essere affabile, affettuoso e gentile sia verso coloro che potrebbero aiutarlo sia verso coloro che potrebbero nuocergli. Può mostrarsi altezzoso solo verso coloro di cui non ha bisogno. Deve conoscere a menadito il valore di chi incontra sui suoi passi: salutare con reverenza la cameriera della dama di turno, chiacchierare amabilmente con l’usciere o il valletto del ministro, accarezzare il cane del capo di gabinetto; infine non deve distrarsi un istante: la vita del cortigiano è uno studio continuo. 
Il vero cortigiano è tenuto a essere amico di tutti come Arlecchino, senza però avere la debolezza di attaccarsi ad alcuno. Costretto a governare perfino l’amicizia e la sincerità, dovrà troncare subito ogni legame con il notabile, appena questi abbia perso il potere. E’ indispensabile detestare senza esitazioni chiunque abbia fatto torto al signore o al favorito di turno. 
Si giudichi dunque se la vita del cortigiano non sia un continuo susseguirsi di duri sacrifici. 

*** Paul Heinrich Dietrich D’HOLBACH, 1723-1789, filosofo tedesco naturalizzato francese, Studio sull’arte di strisciare a uso dei cortigiani. Facezia filosofica tratta dai manoscritti del defunto barone d’Holbach, in Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, 1554 circa, Chiarelettere, 2011

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