sabato 20 giugno 2015

#FAVOLE & RACCONTI / Il nuovo nome di Carta Stampata (M. Ferrario)

Grande Vecchio non lo avrebbe creduto possibile. Invece, Piccolo Uomo c’era riuscito. 
Sì, l’affetto per quel ragazzo non aveva limiti, e delle conseguenze di questo suo amore per lui, Grande Vecchio un po’ si preoccupava, ma un po’ – molto più, per la verità – segretamente gioiva. Piccolo Uomo non aveva neppure dovuto insistere tanto: la sua resistenza si era sciolta subito, come cera alla fiamma. Ed era stato piacevole: in fondo i nonni esistono anche per dire di sì ai bambini. 

Certo che l’incontro con un giornalista... 
Lui, Grande Vecchio, e un giornalista. Ma perché? Chi poteva essere interessato a lui? Alla sua vita e ai suoi pensieri?
Piccolo Uomo lo aveva rassicurato: si trattava di un amico, Carta Stampata, al quale più volte aveva rivelato i segreti delle sue estati passate sulla Montagna Più Alta. In fondo lui era il responsabile: lo aveva incuriosito con i suoi racconti sulle notti accanto al fuoco, le passeggiate e le riflessioni con Grande Vecchio… 
E poi, Piccolo Uomo aveva garantito: Carta Stampata non sarebbe venuto per un’intervista, da trasformare nel solito articolo ad effetto. Ma, gli aveva confidato, «per conoscere e sentire». E aveva aggiunto, forse enfaticamente ma con sincerità: «per raccogliere i semi che alcune vere anime del mondo sanno ancora conservare e lentamente far germinare».

«Vedrai, Grande Vecchio», aveva insistito Piccolo Uomo. «Carta Stampata ti piacerà. Ha il cuore capace di ascoltare».
«D’accordo, Piccolo Uomo. Per te cederò volentieri. Anche perché è bella la tua espressione», aveva risposto Grande Vecchio. «Dove c’è un cuore che ascolta, lì c’è possibilità di incontro. Attenderò il tuo amico: se davvero ne saremo capaci, allora ci ascolteremo insieme».

Carta Stampata arrivò all’ora del tramonto. Il sole infiammava i ghiacciai e l’aria era dolce, anche se, con l’approssimarsi della sera, si stava facendo più frizzante.
Il giovane era apparso all’improvviso, al termine del sentiero che usciva dal bosco: si era guardato in giro, cercando di ritrovare nella radura che si era aperta ai suoi occhi le indicazioni che evidentemente gli aveva dato Piccolo Uomo. Poi scorse la grotta.
Grande Vecchio era all’esterno: in piedi, con le palpebre socchiuse, aveva il viso rivolto al sole e aspirava i raggi del tramonto. Sentì il fruscìo dei passi che s’avvicinavano e si volse.

Carta Stampata era imbarazzato: aveva incontrato molte persone autorevoli, ma come si saluta un saggio?
Grande Vecchio sembrò sentire la domanda: il suo sorriso, dolce e comprensivo, lo mise immediatamente a suo agio. 
E allora Carta Stampata lasciò che rispondessero gli occhi: incontrando intensamente, per un attimo pieno, la profondità degli occhi di Grande Vecchio. Poi, come rincuorato, tirò un respiro lento e gettò uno sguardo, lungo e largo, prima verso la vallata e quindi in direzione dei ghiacciai. 

Piccolo Uomo osservava in silenzio, compiaciuto: forse i due si sarebbero capiti.
Carta Stampata e Grande Vecchio, in piedi uno accanto all’altro, assaporarono il tramonto, dicendosi molte cose senza dirsi nulla.
Poi, le prime ombre spinsero tutti a entrare nella grotta. 
Piccolo Uomo aveva preparato grosse fette di formaggio, che aveva disposto su una tovaglia bianca, ad un lato del tavolaccio che divideva la grotta in due. Grande Vecchio indicò la piccola damigiana di vino rosso e Carta Stampata riempì due tazze, offrendo la prima a Grande Vecchio.

«Ti ho incontrato per la prima volta due ore fa. Perché, Grande Vecchio, mi sembra di averti incontrato sempre?».
«L’orologio non segna tutto il tempo, ma una parte. Forse ciò che ti è accaduto accade quando sono gli sguardi a ritrovarsi e non le facce a guardarsi».
«Ora comprendo meglio quanto mi raccontava di te Piccolo Uomo», commentò Carta Stampata.
«Non devi credergli troppo» sospirò Grande Vecchio, guardando con benevolenza Piccolo Uomo. «Il suo affetto per me gli fa da velo. Mi crede un saggio».
«Non lo sei?».
«Tento di vivere. E’ una cosa naturale, vivere, ma appunto per ciò difficile per noi uomini. Anche se i saggi sono quelli che più ci sono riusciti. Io però sono ben lungi dall’essere un saggio»
«In città credono il contrario». 
«Confondono forma con sostanza. Sono uno dei tanti esseri umani in cammino. In comune con chi è chiamato saggio ho solo una cosa: niente da insegnare e tutto da apprendere. Ma questo è il compito di ognuno. Se cercavi ricette o consigli, hai impiegato inutilmente il tuo tempo venendo sin quassù».
«Il mio mestiere mi conduce a intervistare molte persone. Tu sei la conferma di quanto ho sempre pensato: chi più dice, meno dà. Se avessi voluto avere le cose che tutti chiedono, sarei rimasto dove normalmente lavoro: in città. In questa, che si agita giù in fondo alla valle, o nelle mille altre simili del mondo. Là le parole non mancano».
«Sono importanti, le parole», aggiunse Grande Vecchio.
«Sì, se esprimono l’anima e scaldano il cuore. Ma allora possono anche essere rivestite di silenzio» proseguì Carta Stampata.
«Piccolo Uomo aveva ragione. Forse il tuo nome è appropriato per il mestiere che fai, ma non per la persona che sei.».
«Ne hai in mente un altro, Grande Vecchio?».
«Se lo vorrai, te lo svelerò al commiato. Intanto, non mi hai ancora detto le ragioni della tua venuta quassù», chiese Grande Vecchio.
Il giovane non rispose subito. 
«Anch’io sono in cammino. O almeno, cerco ogni tanto di ricordarmelo: quando faccio tacere il frastuono del cemento e reagisco alla frenesia del computer. Ma più spesso ho confusione».
«Le nuvole si alternano al sole, la nebbia al sereno, la notte al giorno. Le cose chiare si confondono e le cose confuse si chiariscono. Talvolta basta aspettare per vedere». 

Grande Vecchio parlava come a se stesso.
Carta Stampata si versò una tazza di vino. 

«Non sempre si riesce. Invidio i tuoi boschi: le albe, i tramonti, il ghiacciaio. La tua casa è la natura. Qui gli occhi hanno orizzonte. Giù in città, chiusi nei nostri appartamentini, abbiamo pupille ridotte e anche per questo dilatate: le nostre idee sono piccine e la nostra onnipotenza è pari all’impotenza che l’origina. Ci agitiamo: come mosche dentro la bottiglia, incapaci di scorgere il vetro. Oppure, se ce ne accorgiamo, siamo convinti di possederne il tappo».
«Piccolo Uomo mi ha detto del tuo talento: sei un giornalista giovane, ma già di valore. Hai opportunità di esplorare, scoprire, raccontare. Anche questi sono orizzonti. La mia casa è la natura, la tua è il mondo».
Il giovane sospirò. 
«La mia casa sono gli alberghi, Grande Vecchio. Il mio titolo, al giornale, è di inviato: neppure un nome, solo un participio passato. In mano ho sempre una valigia: se mi chiedono dove sono, l’unica cosa che so è che sono di passaggio».
Grande Vecchio sorrise. 
«Allora ci assomigliamo: a me manca solo la valigia. Ma non è fondamentale».
Carta Stampata rimase assorto qualche minuto. 
«Ecco, Grande Vecchio. La valigia. Forse questa è la domanda. Non è fondamentale, tu dici. Ma noi – io – la valigia ce la portiamo sempre appresso. Come si fa a posarla? A lasciarla a casa? A dimenticarla?».
«Bisogna essere un fiume», rispose Grande Vecchio.
«Un fiume?», chiese Carta Stampata.
«Ti propongo una gita. Domani. Lungo la vallata. Ma adesso, accendiamo il fuoco: si è fatto freddo».
«Questo è compito mio», intervenne Piccolo Uomo. Che corse a prendere le fascine e tre ceppi ben stagionati.

Il fuoco crepitava. Piccolo Uomo, al solito, guardava estasiato: le fiamme, prima vigorose, poi sempre più deboli ma tenaci, consumavano i grossi legni. Nella grotta si era diffuso un dolce tepore. E i tre si addormentarono mollemente.
L’aria fredda dell’alba punse per primo Carta Stampata. Il fuoco della sera era divenuto un pugno di cenere. 

Fu una gita indimenticabile. 
Partendo dalla sorgente, seguirono a distanza il percorso del fiume lungo tutta la valle. Videro l’acqua prima zampillare, poi saltellare come torrentello di pietra in pietra, quindi distendersi in fiumiciattolo e infine allargarsi, placida e gonfia, in fiume che scivola maestoso verso il mare. Ogni fase del percorso era caratterizzata dalla forza: all’irruenza dell’inizio faceva seguito la determinazione e la potenza del dopo. Il mare era la meta, e l’acqua lo cercava con tranquilla caparbietà, aprendosi lentamente il letto tra la vegetazione, superando con irruenza i dislivelli con piccole e grandi cascate di spuma, abbracciando gli ostacoli insormontabili in curve ampie o a gomito, difendendo gli argini dalla boscaglia e nello stesso tempo accogliendo i limiti del suo letto. A metà valle, nei punti in cui il fiume si allargava ad assaporare la pianura del paesaggio e la vegetazione rigogliosa delle rive, l’acqua pareva immobile: ma bastava una foglia gettata a galleggiare, per verificare l’esistenza di un moto, lento, quasi impercettibile, ma incessante. E inesorabile. Il fiume respirava e camminava: una pigra corrente lo portava dove voleva il suo destino. Una tranquilla potenza emanava dalle sue acque. E una sensazione profonda di stabilità. 
Sempre uguale a se stesso e sempre diverso, il fiume: nel suo nascere, zampillare, saltellare, ricadere, correre, fluire, rallentare. Debordare e contenersi. E infine trasfigurare: diventando mare.

La natura parlò per Grande Vecchio e Carta Stampata comprese. 

Il fuoco. Le faville, il crepitìo, l’ardore di una fiamma di una sera: la vitalità, l’irruenza, tutto il calore eccitante di poche ore bruciati in un piccolo mucchio di cenere il mattino. 
E il fiume. Che è. E va. E resta quel che è. Ogni sera e ogni mattina.

Fecero ritorno alla grotta a metà pomeriggio. Tra poco i raggi del tramonto avrebbero dorato il bosco. 
Era tempo che Carta Stampata riprendesse il sentiero verso la città, prima che le ombre si allungassero sulla montagna. 
Piccolo Uomo avrebbe voluto prolungare la visita, sicuro ormai che Carta Stampata e Grande Vecchio si erano intesi. Ma aveva imparato a conoscere la dura necessità dei commiati: doversi lasciare anche per potersi in futuro ritrovare.

Carta Stampata rammentò l’impegno a Grande Vecchio. 
«Mi hai promesso il mio nuovo nome: sono curioso».
«Non l’ho dimenticato».
«Però prima, se possibile», proseguì Carta Stampata, «vorrei da te il regalo di un pensiero beneaugurante: che mi accompagni nei vagabondaggi del mio mestiere e mi faccia ricordare di te».
Grande Vecchio sorrise con tenerezza, scuotendo il capo. 
«Ci sei cascato: anche tu. Cerchi in me ciò che è altrove: soprattutto in te. E che proprio tu, forse più di altri, puoi trovare».
«Io più di altri…?».
«Sì. Lo suggerisce bene il nuovo nome che ora ti svelerò: forse il tuo vero nome. E che in realtà già si era svelato a Piccolo Uomo, quando ti presentò a me: perché i ragazzi, al solito, colgono il nocciolo, spesso prima di noi».
«Dunque, non sarei più Carta Stampata…».
«Specie i nomi, è quasi impossibile e probabilmente ingiusto toglierli: meglio aggiungerli. Credo tu possa, e forse debba, restare Carta Stampata; ma per me, certo, sei e sarai Cuore che Ascolta».

«Cuore che Ascolta», ripeté lentamente e a voce alta il giovane, come per imprimersi bene dentro di sé l’anima del nuovo nome. 
Avvertì un’emozione mai provata. 
Lasciò passare qualche secondo, poi si scosse: 
«Ti ringrazio, Grande Vecchio. E’ un nome commovente. Molto bello: un regalo insperato. Il più prezioso che potessi farmi. Ma impegnativo». 

Si interruppe: si sentiva che inseguiva, con gli occhi persi, un dolce desiderio. 
«Sì, mi piacerebbe essere Cuore che Ascolta. Ma è difficile. Ne sarò capace?». 
«Lo sei stato finora».
«E cosa dovrei ascoltare?».
«Ciò che hai già ascoltato. Ma che tutti dovremmo ricordare di continuare ad ascoltare».

Il giovane fu sorpreso. Attese un attimo, poi si arrese.

«Non l’ho in mente».
«Infatti», riprese Grande Vecchio, «l’hai nel cuore». 

E dopo una breve pausa concluse: 
«E’ la vita. Se l’ascolterai, lì troverai tutto: anche, i pensieri beneauguranti. E la vita sarà con te».

*** Massimo Ferrario, Il nuovo nome di Carta Stampata, 1998-2015, per Mixtura. Rielaborazione creativa di una favola zen. Anche in  M. Ferrario (a cura), Mixtura 99, Dia-Logos, Milano, dicembre 1998.


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